Giuseppe Tardio |
La nascita del nuovo Regno d'Italia suscitò delusioni e malcontenti nelle masse popolari meridionali poiché vedevano svanire il loro sogno di giustizia e l'atavica aspirazione al possesso di un pezzo di terra. I grandi proprietari terrieri si erano impossessati delle terre demaniali ed i contadini rimasero privi anche degli usi civici di cui avevano goduto precedentemente; la conseguenza di questo malessere fu la rivolta sociale che assume nome di brigantaggio ed il rimpianto per la vecchia dinastia borbonica.
Il maggior rappresentante del lealismo filoborbonico e della rivolta nel Cilento fu Giuseppe Tardio.
Il maggior rappresentante del lealismo filoborbonico e della rivolta nel Cilento fu Giuseppe Tardio.
Egli nacque nel 1834 da famiglia di modesti contadini a Piaggine Soprane; si laureò in giurisprudenza e manifestò (nel 1859) sentimenti liberali che gli procurarono un anno di prigione nelle carceri borboniche; liberato nel 1860, presentò domanda come ispettore di Polizia al ministro della Polizia generale dei Savoia, ma i borghesi agrari di Piaggine tramarono contro di lui e lo fecero arrestare.
Rinchiuso nelle carceri di Laurino riuscì ad evadere e riparò a Roma dove si mise al servizio dei Borbone, sia perchè si era reso conto che i signori borghesi ed agrari si erano schierati col nuovo stato e quindi per vendicarsi sia perché le sue origini contadine lo spinsero a lottare contro gli sfruttatori.
Si diede pertanto alla lotta armata sostenendo la distribuzione delle terre ai braccianti ed auspicando il ritorno di Francesco II sul trono nel Regno delle Due Sicilie.
Con la convinzione che i suoi progetti potessero realizzarsi, raccolta una piccola banda di uomini nello Stato Pontificio, nel settembre del 1861 sbarcò a Punta Tresina, presso Agropoli e si diresse verso le montagne di Piaggine dove si trattenne fino a dicembre quando si recò a Centola, paese in cui si era costituita una banda di briganti di cui assunse il comando. Nel luglio 1862 diede luogo ad un forte movimento insurrezionale nel Cilento coinvolgendo i paesi di Pisciotta, Laurito, Camerota, Massicelle, Futani, Abatemarco, Foria, Licusati, Celle di Bulgheria, Alfano e Caselle in Pittari e, sovvenzionato dai Borbone, compì molte imprese contro i latifondisti e contro la polizia piemontese.
Dopo un periodo di stasi, durante l'inverno 1862/63 la banda ricominciò la sua attività e nel 1865 un comitato segreto borbonico, che era stato istituito a Salerno, cercò di unificare la banda di Tardio con quella di Manzo (avellinese), ma il progetto fallì ed i componenti del comitato furono arrestati, la banda Tardio fu sgominata a Magliano in uno scontro con la Guardia Nazionale ed i carabinieri.
Il capobrigante Tardio, sebbene ferito, riuscì a raggiungere Roma dove viveva sotto falso nome, ma un suo ex compagno per intascare la taglia di 5000 ducati rivelò a Nicola Mazzei dove si nascondesse. Mazzei, recatosi a Roma, riconobbe Tardio e lo denunciò facendolo arrestare(1870). Condannato a morte, durante il processo si difese strenuamente dall'accusa di essere un delinquente, scrivendo tra l'altro:
Successivamente la pena fu commutata nel carcere a vita e fu relegato nell'isola di Favignana dove morì il 13 giugno 1892.
Gilda Petrone
Rinchiuso nelle carceri di Laurino riuscì ad evadere e riparò a Roma dove si mise al servizio dei Borbone, sia perchè si era reso conto che i signori borghesi ed agrari si erano schierati col nuovo stato e quindi per vendicarsi sia perché le sue origini contadine lo spinsero a lottare contro gli sfruttatori.
Si diede pertanto alla lotta armata sostenendo la distribuzione delle terre ai braccianti ed auspicando il ritorno di Francesco II sul trono nel Regno delle Due Sicilie.
Con la convinzione che i suoi progetti potessero realizzarsi, raccolta una piccola banda di uomini nello Stato Pontificio, nel settembre del 1861 sbarcò a Punta Tresina, presso Agropoli e si diresse verso le montagne di Piaggine dove si trattenne fino a dicembre quando si recò a Centola, paese in cui si era costituita una banda di briganti di cui assunse il comando. Nel luglio 1862 diede luogo ad un forte movimento insurrezionale nel Cilento coinvolgendo i paesi di Pisciotta, Laurito, Camerota, Massicelle, Futani, Abatemarco, Foria, Licusati, Celle di Bulgheria, Alfano e Caselle in Pittari e, sovvenzionato dai Borbone, compì molte imprese contro i latifondisti e contro la polizia piemontese.
Dopo un periodo di stasi, durante l'inverno 1862/63 la banda ricominciò la sua attività e nel 1865 un comitato segreto borbonico, che era stato istituito a Salerno, cercò di unificare la banda di Tardio con quella di Manzo (avellinese), ma il progetto fallì ed i componenti del comitato furono arrestati, la banda Tardio fu sgominata a Magliano in uno scontro con la Guardia Nazionale ed i carabinieri.
Il capobrigante Tardio, sebbene ferito, riuscì a raggiungere Roma dove viveva sotto falso nome, ma un suo ex compagno per intascare la taglia di 5000 ducati rivelò a Nicola Mazzei dove si nascondesse. Mazzei, recatosi a Roma, riconobbe Tardio e lo denunciò facendolo arrestare(1870). Condannato a morte, durante il processo si difese strenuamente dall'accusa di essere un delinquente, scrivendo tra l'altro:
« Io non sono colpevole di reati comuni poiché il mio stato, il mio carattere e la mia educazione non potevano mai fare di me un volgare malfattore; io non mi mossi e non agii che con intendimenti e scopi meramente politici; talché non si potrebbe chiamarmi responsabile di qualsivoglia reato comune che altri avesse per avventura perpetrato a mia insaputa contro la espressiva mia volontà e contro il chiarissimo ed unico scopo per cui la banda era stata da me radunata ». |
Gilda Petrone
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