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sabato 5 gennaio 2013

Le due " facce" del Cilento risorgimentale nel film " Non è più tempo di martiri" del regista toscano Massimo Smuraglia








Il Cilento, in particolare l' Alto Cilento della seconda metà dell'ottocento, viene studiato e rappresentato nel film del regista pratese Massimo Smuraglia.


Cosa ha indotto un toscano ad occuparsi di storia e di cultura cilentana?

Sarebbe facile fare subito un nome, ma...; è stato l'amore, l'amore di chi  sa come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale , l'amore  e la nostalgia dell' "Addio, monti", l'amore del medico cilentano Vito Galzerano, emigrato a Prato. Egli, costantemente  ancorato alle sue radici, ha saputo coinvolgere il  suo paziente-regista Smuraglia nel sogno di rappresentare la propria terra e di dare, così, un contributo alla memoria del paese natale: Campora.


E' per questo che il desiderio del medico e la curiosità del regista hanno partorito il film " Non è più tempo di martiri"  i cui protagonisti sono padre Giuseppe Feola di Campora ed il capobrigante Giuseppe Tardio di Piaggine; entrambi guidati da un ideale politico, il liberismo da un lato ed il conservatorismo borbonico dall'altro.




Ambedue i personaggi hanno combattuto le proprie battaglie, ma con armi diverse. Padre Feola ha usato il dialogo cercando di coinvolgere le masse e di convincerle della bontà delle sue idee.Tardio ha adoperato la forza per imporre i propri convincimenti contro quello che riteneva l'usurpatore sabaudo. Due modi differenti di lottare, due modi  che costituiscono la dialettica del divenire storico: la contrapposizione tra progressismo e conservatorismo, tra movimenti    pacifisti e lotta armata.


Perno attorno a cui ruota la vicenda è la morte:
il film si apre con la scena dell'uccisione violenta di padre Feola, immagine  che si ripete nel ricordo e nei flashback, presenti nel dipanarsi della trama, e si conclude con le scene di morte dei due protagonisti.

L'argomento di fondo, però  ed il filo conduttore  è la figura dell'uomo di chiesa  Giuseppe Feola, sacerdote di Campora che  sposò le idee del liberismo e girava per i paesi del Cilento, (tra cui Gioi, Stio, Piaggine) per diffondere le proprie idee sull' Unità d'Italia.  Egli operava, sprezzante del pericolo, in  un periodo storico molto duro, come si evince anche dalle parole del cardinale: Sono tempi orribili questi, tempi in cui fratello uccide fratello!

 

Alla brutalità degli eventi, Smuraglia contrappone la bellezza delle vallate cilentane da cui si intravedono i paesini adagiati sui cocuzzoli delle montagne in attesa che arrivi aria di rinnovamento che dia nuova vita a questa terra bellissima e sfortunata,come dice padre Feola. Al cinico realismo del brigante fa da contraltare il bellissimo sogno del frate che immagina un futuro in cui tutti siano uniti sotto un'unica bandiera con uguali diritti e doveri, in cui l'uomo sia artefice del prprio futuro e libero dal giogo del padrone oppresore, dalle guarentige di schiavisti e baroni, dalle tasse che affamano.


 Padre Feola è un uomo di chiesa che si batte contro il potere temporale dei Papi e contro la corruzione  del clero; un uomo scomodo che, a detta del brigante Tardio (l'ordine viene da Roma),doveva morire anche per volere della Chiesa che, dal nuovo governo sabaudo, era stata privata di molti territori e che, appoggiando i Borbone, era connivente col fenomeno del brigantaggio.


        ... ed è proprio la curiosità di capire il comportamento della Chiesa che spinge Smuraglia a creare  l'ambiguità del  personaggio del Cardinale. Questi, infatti, alla notizia della morte del cappuccino, riferitagli da padre Ignazio, declina l'invito a partecipare ai funerali affermando  ...la pietas cristiana imporrebbe la partecipazione, ma l'uffizio della carica di cui siamo investiti ci vieta di prendere parte alle vicende politiche  e di mettere a repentaglio l'incolumità, in luoghi dove la parola di Dio ha lasciato il posto al liberismo più immorale. Successivamente si accomiata dal frate,  invitandolo a lasciare  che il fardello pesi solo sulla nostra persona e lo invita a riguardarsi poiché  sarebbe un peccato perdere un prezioso collaboratore: un avvertimento dunque.


Una volta rimasto solo, il cardinale, con gesti lenti e consapevoli, appone i sigilli sul libro di Vitantonio Feola "Le mie confessioni intorno al potere temporale della chiesa" e lo destina all' index librorum proibitorum.













 Personaggio fondamentale è anche  Giuseppe Tardio, figura complessa che Smuraglia , come afferma in un'intervista rilasciata per Lira TV, dubita possa essere servo di Francesco II, ormai  uomo di paglia e reputa che  abbia combattuto una battaglia sentita, ma che fosse caduto in un gioco più grande di lui. Tardio era un capobrigante che ordinava di commettere sopraffazioni e violenze, o quantomeno le tollerava, ma si dichiarava innocente, affermando che  non lui,  ma altri, in piazza, avevano trucidato il frate  giustificandosi: non sono un volgare malfattore, io agii per fini politici.

 
 A mio parere, nella realtà dei fatti, essendo figlio di contadini, Tardio avvertiva  l' aggravarsi delle condizioni di vita della povera gente della sua terra a causa dell'invasione sabauda del Regno delle Due Sicilie.

 Il regime piemontese- proclamava- ci sedusse con promesse false, avendoci apportato la miseria e la desolazione  ...quasi un triennio di duro, tirannico... regime subalpino vi à ridotto alla trista condizione di barbari del  settentrione...disprezzando i vostri pietosi atti di religione, angariandovi di tributi ed augurando il diritto della fucilazione a ragion di stato...,

 Non si rendeva conto, però, che il corso della storia aveva fatto passi troppo avanti e non si poteva più tornare  indietro.













I moti libarali del 1820/21nel Regno delle Due Sicilie ci fanno comprendere che le idee liberiste erano attecchite al punto tale che Garibaldi trovò la strada spianata nell'occupazione delle terre del Sud; le connivenze dei latifondisti del Sud col nuovo regime fecero il resto nell' inarrestabile processo storico che porta alla fine del regno borbonico e dunque alla fine di un modello di società.

Nell'offrirci uno spartito di storia meridionale, Smuraglia si è servito oltre che di attori della Scuola di cinema Anna Magnani di Prato, di attori-non professionisti locali, alternando alla lingua italiana il dialetto cilentano, quasi per rimarcare il fatto che si tratta di storia nostra e di una fiction fatta per noi.


Anche la struttura dell'opera cinematografica è particolare. Ad una struttura circolare ( con la presenza degli stessi eventi e personaggi all'inizio ed alla fine del film), lo sceneggiatore associa una narrazione non lineare,  infatti presenta sprazzi di vita dei vari personaggi, venuti a contatto con i due protagonisti
 (padre Feola ed il maggiore Tardio), a mano a mano che depositano la testimonianza in tribunale. Nel fare ciò, utilizzando anche la tecnica del flashback,  egli riesce a dare l'idea della contemporaneità degli episodi.


La serietà della ricerca storica, il rigore delle citazioni, l' equità di giudizio e l'obiettività e l'equidistanza nei confronti dei principali avvenimenti, costituiscono il fiore all'occhiello di uno scenografo e di un regista sicuramente rispettosi delle idee della comunità, una comunità che, come quella nazionale, deve poter guardare con fiducia al proprio futuro, utilizzando al meglio le proprie risorse, con l'auspicio che, davvero, non ci sia bisogno più di nuovi martiri per il raggiungimento della giustizia sociale e dello sviluppo economico.
                 Gilda Petrone

                                                                        

Regista
Massimo Smuraglia
Aiuto-regista
Chiara Luccianti
 Sceneggiatore
Marco Guerrini
  Interpreti:
                Angelo Rizzo           Padre Giuseppe Feola
      Anthony Trotta           Giuseppe Tardio
         Rosario Campisi           Presidente tribunale
Veronica Vitiello           Angela           
Pasquale Rizzo            Il Cardinale 
Carmelo Arcaro           Toribio       
   Massimo Guasti            Padre Ignazio
            Vito Galzerano            Antonio Torrusio







1 commento:

  1. Ho apprezzato parecchio la lucidità di analisi, combinata alla passione, che emana dalle righe di questa recensione.
    Ottimo e..abbondante Gilda!

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