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lunedì 2 dicembre 2013

Il Taglio dei boschi e la riduzione della biodiversità- di Dionisia De Santis

Dionisia De Santis, esperta in erboristeria e fitoterapia, in indagini , censimenti e studi di carattere floristico,sistematico, in educazione ambientale e turismo naturalistico. Fotografa naturalista.
 
IL TAGLIO DEI BOSCHI E LA RIDUZIONE DELLA BIODIVERSITA’
di Dionisia De Santis              
Gli alberi rappresentano la forma vivente terrestre meglio riuscita. Le varie forme di boschi e di foreste costituiscono tra i più ricchi ecosistemi esistenti del Pianeta, capaci di ospitare un’ampia varietà di esseri viventi. Essi sono essenziali per il mantenimento degli equilibri e dei cicli biogeochimici del Pianeta; per compensare le cariche elettriche tra ionosfera e superficie terrestre, e anche per mantenere integro il campo magnetico del Pianeta.  
I boschi costituiti da alberi secolari si definiscono boschi vetusti. La definizione di boschi vetusti può essere applicata anche a popolamenti forestali che in passato sono stati utilizzati dall’uomo, ma che attualmente sono molto vecchi e in condizioni di buona naturalità, avendo avuto la possibilità di evolversi per decenni in assenza di intervento antropico, come ad esempio è avvenuto per alcune aree boschive presenti soprattutto nell’area interna del Cilento, alle falde del Monte Cervati. Questi boschi, oltre a conferire un notevolissimo pregio naturalistico a tutto il territorio cilentano, svolgono un ruolo ecologico fondamentale. Essi rappresentano, in termini di Biodiversità sia a livello di specie che di paesaggio, un valore inestimabile.  
Alcuni affermano che il taglio sia addirittura necessario per meglio mantenere la cura dei boschi, ma non è così. La Natura è di gran lunga più saggia del nostro operare e quindi sa bene come agire per conservare in perfette condizioni il bosco. Ed è una presunzione solo pensare di sostituirci minimamente ad essa. Ci sono diversi motivi per effettuare i tagli dei boschi, ma certamente non per mantenerli in “salute”.
Riguardo a questo vale la pena sottolineare, come regola generale, che le pratiche selvicolturali, qualora siano applicate a ecosistemi forestali naturali, comportano una riduzione della Biodiversità. Biodiversità che raggiunge il massimo livello nelle fasi di senescenza e di crollo degli alberi, quelle che i boschi sottoposti a utilizzazioni non raggiungono. Si tratta di un fatto di grande rilevanza, perché il legno di alberi morti in piedi o atterrati, permette la proliferazione di popolazioni di uccelli, licheni, insetti xilofagi (che a loro volta rappresentano il nutrimento di uccelli altrimenti destinati a scomparire), mentre l’abbondanza di necromassa (legno di alberi morti in piedi o atterrati, residui legnosi vari) rende possibile una forte presenza di decompositori (funghi e batteri). La necromassa diventa il punto di innesto di catene di detrito, che trovano scarse opportunità per proliferare nel caso di prelievi legnosi basati su turni di utilizzazione che anticipano i cicli naturali, in modo da ottenere la massima produzione legnosa. Si aggiunga che, per soddisfare le esigenze del maggior numero di organismi collegati, del legno morto non solo è necessario conservare grandi quantità, ma anche differenti tipi e dimensioni, soprattutto in modo continuo nel tempo (CHRISTENSEN et al., 2005).
La necromassa, inoltre, favorisce i processi pedogenetici (l'insieme di processi fisici, chimici e biologici che portano, nel corso del tempo, alla formazione del suolo) e il mantenimento della fertilità dei suoli. (ECOLOGIA FORESTALE, elementi di conoscenza dei sistemi forestali applicati alla selvicoltura; Marco Paci, Edagricole 2011).
Gli alberi vecchi, spesso dotati di cavità, sono habitat decisivo per il rifugio, la nutrizione e la riproduzione di molte specie faunistiche: oltre agli uccelli e agli insetti anche mammiferi (ad esempio la Martora) rettili, ecc.